“Quello che sono me lo porto con me, sono i sogni, che inseguo”.
E’ qui, nel bar puzzolente di fumo, che passo la maggior parte della mia giornata.
Il sogno è racchiuso nella mai mano, sotto forma di scellini che qualche ragazzotto mi lascia sul bancone e se ne va.
Vedo sul muro la foto di zio Domenico.
L’ha fatta cinque anni fa, sulle sponde del Ceno.
Era felice per la trota che era riuscito a pescare.
A me mette un po’ di malinconia ma la guardo spesso.
La cosa che mi manca di più è il profumo di funghi nel bosco umido le prime ore dopo l’alba.
Qui, è solo l’umidità che mi rimane.
Nella mia vita ho sempre voluto un bar: lo sognavo con un bel bancone di legno lucido, tanti sgabelli dove avrei servito il caffè più buono di Londra.
Londra, Cardiff.
Già.
Avrei fatto carte false per averlo, anche e non dirò solo, in via Cella.
Con i quattro, soliti, amici e i tre anonimi vecchi che conoscevo da sempre.
Pazienza, tanto, un giorno, ho smesso di fare caffè.
Mi hanno regalato un viaggio.
Liverpool la immaginavo diversa.
Quando uno fa tanta strada, da dove vengono le persone lo capisce dal viso: le sopracciglia, la barba gli occhi.
Il taglio e le rughe degli occhi tradiscono la storia di una persona.
Tante lingue diverse e alcuni dialetti famigliari mi sono accanto, questa domenica.
Si fatica a dormire, ma lo si fa per forza, ad occhi aperti in attesa di imbarcarsi.
Mi ricordo il mio ultimo lunedì sulla terra ferma, poi, è ancora buio quando salgo.
Vedo poco dall’oblò ma è giusto qualche luce sulla costa che mi tranquillizza.
Il primo raggio di sole che mi scalda il viso è l’ultimo bel ricordo.*
Alle 06:15 del 2 luglio 1940, una nave da crociera adibita al trasporto da Liverpool al Canada di 1673 persone, molte delle quali internati italiani e tedeschi, viene silurata dal sottomarino tedesco U-73.
Solo mezzora dopo, 807 di loro morirono.
Dei 470 italiani che si poterono contare tra le vittime, ben 48 venivano dalla zona di Bardi (PR).
In loro memoria.
* il racconto è frutto di fantasia