Wojtyla, 4 anni dopo

Attualità e Società
giovanni paolo II

giovanni paolo II

Quattro anni fa, il 2 aprile 2005 all’età di 84 anni muore Papa Wojtyla nel suo appartamento privato. Sono le ore 21 e 37.
L’annuncio della morte viene dato dal portavoce vaticano Joaquin Navarro Valls.
Un “Amen” è l’ultima parola pronunciata da Papa Wojtyla.
La notizia della morte del Grande Papa viene comunicata ai fedeli presenti in Piazza San Pietro, circa 100 mila, che accolgono la notizia in silenzio.
Poi si leva un lungo applauso.
In molti piangono, altri guardano la finestra al terzo piano del palazzo apostolico.
Il cardinale Angelo Sodano, segretario di stato, intona il De Profundis per Giovanni Paolo II.
Un altro applauso accoglie il termine della preghiera sul sagrato della Basilica di San Pietro.
Io sono un romano, testaccino di nascita che, dopo aver passato l’adolescenza alla Garbatella, dal 1984 vive ad Ostia “il mare di Roma”.
Scrivo queste riflessioni per parlare del mio Papa Wojtyla che io, come penso molti altri romani, abbiamo sempre ritenuto un nostro concittadino, anche se nato in Polonia.
Sì, Papa Woityla era un romano come noi, tanto è vero che quella sera di 35 anni fa violò il cerimoniere non limitandosi a dare la benedizione ma volle presentarsi a noi romani, complice pure quel simpatico errore di italiano: “Se mi sbaglio, mi corriverete”.
La paura di Wojtyla fu all’inizio, a mio parere, proprio quella che la sua provenienza polacca aggravasse il peso della già enorme responsabilità papale. Ma la sua paura durò poco.
Difatti già alla prima presentazione, quella sera del 16 ottobre del 1984, l’accoglienza di noi romani fu molto calda.

stemma papale

stemma papale

Invero pochi giorni dopo, il 22 ottobre, inaugurando il suo ministero, ecco che ripropose ancora la romanità come sua seconda natura affermando: “Alla sede di Pietro a Roma sale oggi un vescovo che non è romano. Un vescovo che è figlio della Polonia, ma da questo momento diventa pure lui romano. Sì, romano!”.
Molte volte, nei suoi 30 anni di pontificato, ricordò, infatti, di vivere nel più stretto legame e nella più profonda comunione con la sua Roma e soprattutto per ricordare spesso che “il Papa venuto da lontano si sente vivamente e profondamente romano, desideroso di servire nel miglior modo possibile l’amatissimo popolo di Roma“.
Quel timore di non essere accolto bene da noi romani si era, però, presto trasformato nello stupore e nella gratitudine per l’accoglienza che noi romani abbiamo sempre manifestato verso di Lui.
Ed ora, a quattro anni dalla sua morte ed a 35 anni da quella paura ingiustificata, mi piace ricordare che noi romani lo abbiamo considerato sempre uno di noi.

E noi romani non ci siamo mai dimenticati delle tante volte che ha detto: “Roma, mia Roma, ti benedico e con te benedico i tuoi figli e tutti i tuoi progetti di bene!”.
Papa Wojtyla è stato anche un Uomo di Pace. “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male»: questo era stato, difatti, il messaggio di Giovanni Paolo II nella trentottesima Giornata mondiale della pace che si era celebrata il 1 gennaio 2005, un vero inno all’amore.
”L’amore è l’unica forza capace di condurre alla perfezione personale e sociale, l’unico dinamismo in grado di far avanzare la storia verso il bene e la pace”.
Il male non si sconfigge con il male: su quella strada, infatti, anziché vincere il male, ci si fa vincere dal male, aveva affermato, per poi indicare che la pace è un bene da promuovere con il bene, da custodire e coltivare mediante scelte e opere di bene.
Nella diffusa incertezza collettiva tra bene e male, ci viene ricordato che il male non è una forza anonima che opera nel mondo in virtù di meccanismi deterministici e impersonali.
Precisava infatti Papa Wojtyla: “Il male ha sempre un volto e un nome: il volto e il nome di uomini e di donne che liberamente lo scelgono”.

In questa occasione il Papa Wojtyla aveva del resto spiegato che ”nessun uomo, nessuna donna di buona volontà puo’ sottrarsi all’impegno di lottare per vincere con il bene il male. E’ una lotta -aveva ribadito Papa Wojtyla- che si combatte validamente soltanto con le armi dell’amore. Quando il bene vince il male, regna l’amore e dove regna l’amore regna la pace”.
Il Papa aveva quindi specificato che ”cio’ è vero anche in ambito sociale e politico. A questo proposito -spiegava Wojtyla- Leone XIII scriveva che quanti hanno il dovere di provvedere al bene della pace nelle relazioni tra i popoli devono alimentare in se’ e accendere negli altri la carità, signora e regina di tutte le virtu”.
Giovanni Paolo II aveva quindi aggiunto che ”è in virtu’ della vita nuova di cui Egli ci ha fatto dono che possiamo riconoscerci fratelli, a di la’ di ogni differenza di lingua, di nazionalità, di cultura”.
”Di fronte ai drammatici scenari di violenti scontri fratricidi, in atto in varie parti del mondo, dinanzi alle inenarrabili sofferenze ed ingiustizie che ne scaturiscono, l’unica scelta veramente costruttiva è di fuggire il male con orrore e di attaccarsi al bene, come suggerisce San Paolo”.
Per questo messaggio, pronunciato durante la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace 2005, Giovanni Paolo II aveva scelto come tema di riflessione un versetto della Lettera ai Romani di San Paolo: ”Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male”.
Tutto questo messaggio papale sulla pace, viene collocato dentro un’articolata e complessa riflessione sul bene e il male, secondo la quale la pace viene definita come un “bene da promuovere con il bene: essa è un bene per le persone, per le famiglie, per le Nazioni e per l’intera umanità; è però un bene da custodire e coltivare mediante scelte e opere di bene”’.

Papa Wojtyla aveva continuato così nella prima parte del suo messaggio: ”Il male non è una forza anonima che opera nel mondo in virtù di meccanismi deterministici e impersonali. Il male ha sempre un volto ed un nome: il volto e il nome di uomini e donne che liberamente lo scelgono”. ”A cercarne le componenti profonde -osservava il Papa- il male è, in definitiva, un tragico sottrarsi alle esigenze dell’amore”.
Con questo discorso del 1 gennaio 2005 Papa Wojtyla aveva poi fatto un preciso riferimento ai mali che affliggono paesi come l’Africa e la Palestina e, non ultimo, alla piaga del terrorismo. E, più in particolare, aveva detto: ”Come non constatare con amarezza che il dramma iracheno si prolunga, purtroppo, in situazioni di incertezza e di insicurezza per tutti?”
Altra questione che era stata affrontata dal Papa nel suo messaggio per la pace era la lotta alla poverta’, obiettivo principale dell’azione della comunita’ internazionale. Nel trattare il problema della poverta’ Giovanni Paolo II si soffermava sul debito estero dei Paesi poveri. Cio’ nonostante il Papa osservava che ”i Paesi poveri restano prigionieri di un circolo vizioso: i bassi redditi e la crescita lenta limitano il risparmio e, a loro volta, gli investimenti deboli e l’uso inefficace del risparmio non favoriscono la crescita”. Infine concludeva che ”Possano i popoli africani -aggiunge il Papa- prendere in mano da protagonisti il proprio destino e il proprio sviluppo culturale, civile, sociale ed economico. L’Africa cessi di essere solo oggetto di assistenza, per divenire responsabile soggetto di condivisioni convinte e produttive. Un’eredità straordinaria quella lasciata alla Chiesa da Giovanni Paolo II, il Papa che ha toccato il cuore del mondo intero, per il quale hanno pregato Ebrei e Musulmani. Un patrimonio che, comunque, il suo successore, Papa Benedetto XVI sta da una anno continuando e sviluppare.

lapide

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In ogni modo a me sembra ancora di vedere Papa Wojtyla baciare la terra, venerare la Natura, abbracciare gli uomini di tutte le razze con cordialità estrema, di rispettare sinceramente le altrui vocazioni e fedi. Lui, l’ex operaio polacco, sportivo amante della montagna, è stato però anche e soprattutto il Papa della Pace, del tutto alieno dagli intrighi della politica. Sempre contro ad ogni guerra, uomo del dialogo e, in senso lato, della politica, ha sostenuto con forza che “non possiamo vivere tutti assieme se non in pace”. Buono e generoso, lontano da ogni fanatismo e contrario ad a ogni crudeltà, ha cercato sempre di salvare vite, di mitigare la sorte dei prigionieri, di esortare al perdono, alla misericordia, alla ricerca dell’accordo. Papa Wojtyla è stato un papa di pace, importante per uomini di tutte le fedi e di tutte le convinzioni ideali; soprattutto nell’ultimo decennio i suoi pronunciamenti contro le guerre e per la giustizia nell’uso delle risorse a livello planetario sono stati importanti.
Per quanto riguarda la vita interna della Chiesa cattolica il suo pontificato ha fatto fare alcuni passi in avanti, come per esempio sul dialogo interreligioso e sui “mea culpa” .
Sul mea culpa nei confronti degli ebrei, poi, Papa Wojtyla era stato protagonista, aveva preso lui l’iniziativa ed era andato avanti. Non solo quando era andato a visitare la sinagoga di Roma, ma anche durante il Giubileo del 2000, allorché aveva inserito la sua richiesta di perdono nel Muro del pianto ed aveva visitato lo Yad Vashem. Egli aveva voluto eliminare una volta per sempre il malinteso sentimento di diffidenza verso gli ebrei.

Del resto il grido di Papa Woityla si sostanziava di indicazioni preziose. La vita è bene fondamentale e presupposto della convivenza.
Ciò implica rispetto della persona, integrità delle relazioni familiari, protezione dell’uomo dal concepimento alla morte naturale, con esclusione delle scorciatoie del divorzio, dell’aborto e dell’eutanasia, oltreché del tecnicismo avventuristico della biologia.
È su questo radicale fondamento che si situava la condanna della guerra, nemica primaria della vita.
La pace è la premessa per un rinnovamento delle relazioni sociali e statuali.
Essa risulta assai esigente richiedendo un tenace esercizio della ragione. È in nome degli stessi valori, dopo la caduta del Muro di Berlino, che aveva criticato anche l’ovest, sottolineando i limiti del liberismo economico.
Anche quello ad una sola dimensione, quella del mercato e del profitto.
Papa Wojtyla aveva, sopra ogni altro, indirizzato i suoi sforzi in una direzione precisa: quella di applicare gli insegnamenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, specialmente dal punto di vista del rapporto con le altre religioni.
Innumerevoli erano state le occasioni nelle quali il Pontefice aveva sottolineato questo rispetto della Chiesa cattolica nei confronti delle altre religioni.
E lo aveva messo in pratica accettando di incontrare i leader religiosi. Non c’è dubbio che il contributo più significativo, da questa angolazione, era stato l’incontro di preghiera per la pace nel mondo ad Assisi nel 1986.
A quattro anni dalla tua morte, ti dico ancora “Grazie Papa Wojtyla, difensore della pace e delle libertà democratiche, sincero predicatore della fratellanza e dell’amore fra tutti i popoli per aver parlato di pace, libertà, diritti, amore tra i popoli ad un mondo che andava in un’altra direzione”.
Egli è stato il Papa dell’intelligenza e dell’amore uniti assieme. Papa Benedetto XVI ha ereditato un fardello pesante: l’esempio di Papa Wojtyla.
Vale a dire un messaggio universale di pace, di tolleranza, di accettazione serena della sofferenza e delle difficoltà della vita. Insomma un uomo che si è trasformato in un grandissimo Papa.
Nel Papa dei cambiamenti, anche dolorosi, e che ormai vecchio e stanco aveva cercato fino all’ultimo nelle preghiere dei fedeli il sostegno e la forza per poter continuare la sua missione e che resterà per sempre nei cuori della gente come un Padre nella vita dei propri figli.

Lui, il primo Papa polacco della storia, il Grande Papa che aveva sempre avuto una grande devozione per la Madonna, tanto da scegliere come stemma episcopale la lettera M di Maria insieme alla croce ed il motto Totus Tuus: “ Totus tuus ego sum” (“O Maria, io sono tutto tuo, e tua e’ ogni cosa mia!”) ha lottato per la Pace, anche religiosa, tra i popoli meritando per questo un indiscusso, unanime ed universale rispetto -e non solamente dai cattolici come me- perché i suoi 26 anni di pontificato hanno cambiato il mondo e la storia.
E che Papa Wojtyla sia stato un Uomo di Pace è dimostrato, inoltre, anche dal suo discorso del 1 gennaio del 2005, il suo ultimo Capodanno terreno.
«Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male» (Rm 12,21): era stato questo il messaggio di Giovanni Paolo II nella trentottesima Giornata mondiale della pace, un vero inno all’amore.
”L’amore è l’unica forza capace di condurre alla perfezione personale e sociale, l’unico dinamismo in grado di far avanzare la storia verso il bene e la pace”. Era un inno all’amore questo messaggio di Giovanni Paolo: non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male. Il male non si sconfigge con il male: su quella strada, infatti, anziché vincere il male, ci si fa vincere dal male, aveva affermato, per poi indicare che la pace era un bene da promuovere con il bene, da custodire e coltivare mediante scelte e opere di bene. Nella diffusa incertezza collettiva tra bene e male, ci veniva ricordato che il male non era una forza anonima che operava nel mondo in virtù di meccanismi deterministici e impersonali. Precisava infatti Papa Wojtyla: “Il male ha sempre un volto e un nome: il volto e il nome di uomini e di donne che liberamente lo scelgono”. In questa occasione il Papa Wojtyla aveva del resto spiegato che ”nessun uomo, nessuna donna di buona volontà puo’ sottrarsi all’impegno di lottare per vincere con il bene il male. E’ una lotta -aveva ribadito Papa Wojtyla- che si combatte validamente soltanto con le armi dell’amore. Quando il bene vince il male, regna l’amore e dove regna l’amore regna la pace”. Il Papa aveva quindi specificato che ”cio’ è vero anche in ambito sociale e politico. A questo proposito -spiegava Wojtyla- Leone XIII scriveva che quanti hanno il dovere di provvedere al bene della pace nelle relazioni tra i popoli devono alimentare in se’ e accendere negli altri la carità, signora e regina di tutte le virtu”’. Giovanni Paolo II aveva quindi aggiunto che ”è in virtu’ della vita nuova di cui Egli ci ha fatto dono che possiamo riconoscerci fratelli, a di la’ di ogni differenza di lingua, di nazionalità, di cultura”. ”Di fronte ai drammatici scenari di violenti scontri fratricidi, in atto in varie parti del mondo, dinanzi alle inenarrabili sofferenze ed ingiustizie che ne scaturiscono, l’unica scelta veramente costruttiva è di fuggire il male con orrore e di attaccarsi al bene, come suggerisce San Paolo”.

Per questo messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace 2005, Giovanni Paolo II aveva infatti scelto come tema di riflessione un versetto della Lettera ai Romani di San Paolo: ”Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male”. Tutto questo messaggio papale sulla pace, veniva collocato dentro un’articolata e complessa riflessione sul bene e il male, secondo la quale la pace veniva definita come un “bene da promuovere con il bene: essa è un bene per le persone, per le famiglie, per le Nazioni e per l’intera umanità; è però un bene da custodire e coltivare mediante scelte e opere di bene”’. ”A cercarne le componenti profonde -osservava il Papa- il male è, in definitiva, un tragico sottrarsi alle esigenze dell’amore”. Con questo discorso del 1 gennaio 2005 Papa Wojtyla aveva poi fatto un preciso riferimento ai mali che affliggono paesi come l’Africa e la Palestina e, non ultimo, alla piaga del terrorismo.
E, più in particolare, aveva detto: ”Come non constatare con amarezza che il dramma iracheno si prolunga, purtroppo, in situazioni di incertezza e di insicurezza per tutti?” Altra questione che aveva affrontato Papa Wojtyla nel suo messaggio per la pace era la lotta alla poverta’, obiettivo principale dell’azione della comunita’ internazionale. Nel trattare il problema della poverta’ Giovanni Paolo II si soffermava sul debito estero dei Paesi poveri. Cio’ nonostante il Papa osservava che ”i Paesi poveri restano prigionieri di un circolo vizioso: i bassi redditi e la crescita lenta limitano il risparmio e, a loro volta, gli investimenti deboli e l’uso inefficace del risparmio non favoriscono la crescita”. Infine concludeva che ”Possano i popoli africani -aggiunge il Papa- prendere in mano da protagonisti il proprio destino e il proprio sviluppo culturale, civile, sociale ed economico. L’Africa cessi di essere solo oggetto di assistenza, per divenire responsabile soggetto di condivisioni convinte e produttive. Un’eredità straordinaria quella lasciata alla Chiesa da Giovanni Paolo II, il Papa che aveva toccato il cuore del mondo intero, per il quale hanno pregato Ebrei e Musulmani.
Quattro anni fa i fedeli gridavano il loro incitamento: “Santo subito!”, tanto che appena insidiatosi, Papa Ratzinger ha subito proceduto alla causa di beatificazione di Wojtyla.

Sì, Papa Wojtyla il Grande, subito Santo!

Scritto da Mario Pulimanti

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