Seduto a gambe incrociate su una panchina, nel cortile di mia suocera a Collevecchio, con il gatto Romeo coricato sulle mie scarpe. Guardo l’oscurità avvolgere il monte Soratte. Oggi ha fatto molto caldo. Adesso che si è fatta notte ci sono sempre trenta gradi. E’ l’inizio di agosto. Allungo il braccio verso la bottiglia di Corvo bianco, me ne verso un dito. Avvicino il giornale agli occhi. Leggo. Passo le dita tra il pelo di Romeo. Miagola, contento. Certo, è un gatto che puzza di gatto, ma gli sono grato che stia spaparanzato sulle mie scarpe. Allora, cosa leggo? Ecco. Panico: ci sono segnali preoccupanti. Meglio sbrigarsi, allora, prima che sia troppo tardi. Di cosa sto parlando? Ma delle Olimpiadi, diamine! Difatti, a due giorni dall’apertura delle Olimpiadi 2008, nessuno, credo, se la sentirebbe più di ripetere lo stanco ritornello che vuole il mondo della politica e quello dello sport autonomi e separati, ciascuno funzionando secondo le proprie regole. Non è mai stato così, almeno da quando l’affermarsi della società di massa e il contemporaneo sviluppo dei mezzi di comunicazione hanno tolto alle grandi manifestazioni sportive il loro carattere amatoriale e dilettantistico mettendo nelle mani dei detentori del potere un nuovo straordinario strumento di propaganda. Già le Olimpiadi di Berlino del ’36 furono una formidabile vetrina della Germania nazista. E il pugno alzato di Smith e Carlos sul podio di Mexico ’68 resta un esempio classico di uso politico dello spettacolo sportivo. Per non parlare dei boicottaggi incrociati di Mosca ’80 e di Los Angeles ’84. Smetto di leggere, do un’occhiata all’orologio, poggio il giornale sulla panchina. Di lì a un quarto d’ora andrò a letto. Con la mano sinistra intorno a Romeo, la mano destra intorno al bicchiere, fisso la montagna, dritto negli occhi. Ma la montagna non si prende la briga di ricambiare lo sguardo. Mi ignora, orgogliosamente.
Scritto da Mario Pulimanti (Lido di Ostia-Roma)
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