Pendolare stanca

Attualità e Società

PendolareSono sulla metro di Ostia diretto a Roma. Mi sono alzato con un fastidioso mal di testa. Quindi vado a lavorare controvoglia. Penso a mio padre. E’ morto qualche anno fa e la sua perdita mi ha segnato profondamente. Aveva solo sessantasei anni. Arrivo alla stazione della Piramide, ma il mio viaggio continua. Debbo, infatti, arrivare fino a Termini con un’altra linea della metro: l’affollatissima B.

Scendo di sotto con la scala mobile.
Mi rendo conto, appena vedo la piattaforma, che difatti è affollata all’inverosimile.
Più del solito.
Deve esserci stato qualche guasto e probabilmente non arrivano treni da almeno un quarto d’ora.
Scendo dalla scala mobile.
Tempo cinque minuti e arriva un treno, ogni centimetro di carrozza stipato di corpi sudati, accartocciati, pigiati in un insieme compatto.

Non provo neanche a salire, ma nel pandemonio di persone che sgomitano per aprirsi un varco l’una sull’altra, riesco a guadagnare la prima linea della piattaforma e resto in attesa del convoglio seguente.
Che arriva alcuni minuti dopo, ma pieno zeppo come il precedente.
Quando le porte si aprono e qualche passeggero dalla faccia paonazza si fa largo tra la folla in attesa, mi pigio dentro e respiro una boccata d’aria viziata, stagnante.

Mi sembra che l’aria sia passata per i polmoni di ciascuno un centinaio di volte.
Altra gente s’ammassa alle mie spalle e mi trovo spiaccicato tra un giovane arabo ed il vetro divisorio che ci separa dall’area dei posti a sedere.

Normalmente avrei preferito mettermi con il naso pigiato contro il vetro, ma quando ci provo scopro una gran chiazza viscida, proprio ad altezza del mio viso, un accumulo di sudore e di unto lasciato dalla testa dei passeggeri che si sono strusciati contro la lastra trasparente, così non posso far altro che girarmi e fissare, occhi negli occhi il ragazzo che ho davanti.
Quando al terzo o quarto tentativo si chiudono le porte io e lui ci ritroviamo ancora più pigiati perché la gente accalcatasi sulla porta senza riuscire a entrare finisce con lo stiparsi dentro insieme a noi.
Se dovessi svenire non cadrei in terra perché di spazio per cadere proprio non c’è.

Arrivo a Termini decisamente provato. Al contempo penso che mi farebbe bene bere un caffè.
Che prendo subito prima di entrare in ufficio.

E’ proprio vero: pendolare stanca!

Scritto da Mario Pulimanti (Lido di Ostia – Roma)

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