Barbados? No, Collevecchio!

Attualità e Società

CollevecchioSono da poco tornato dalle ferie che ho trascorso a Collevecchio, terra d’origine di noi Pulimanti, ammirando il levare del sole, la luce che avanzava dall’orizzonte imbiancando il cielo nero della Sabina, le ombre che si dissolvevano quasi evaporando sotto i raggi splendenti, le colline che sembravano animarsi come onde di un mare fossile risvegliato da un lungo torpore, gli incubi della notte che svanivano. Per pochi minuti la temperatura era meravigliosa, né fredda, né calda, e la luce perfetta; tutti riposavano ancora tranquilli.

Il mondo assisteva in silenzio al miracolo del giorno che tornava a visitare la terra. E, mentre trascorrevo tranquillamente le mie vacanze dondolandomi su una comoda amaca, riflettevo sul fatto che, come quasi tutti gli italiani, anche questo anno non mi sono comunque potuto godere un tramonto caraibico sul bordo di una piscina. Va bene Collevecchio, ma volete mettere le Barbados? A chi dare la colpa? All’euro, ama prontamente rispondere a questa domanda mia madre Ernesta. Difatti sono ormai sei anni che in Italia possediamo l’euro. La moneta unica europea ci ha fatto entrare, in questo modo, pienamente in Europa. Tuttavia, l’entrata dell’Italia in Europa ha significato anche l’entrata di Roma in Europa. E quindi di noi romani. Ma, mentre il resto dell’Italia si sta progressivamente europeizzando, non mi sembra che lo stesso stia capitando qui da noi, “nell’urbe eterna”. Tanto è vero che, contrariamente ai padani i quali sono ben felice di sentirsi mitteleuropei, o ai piemontesi i quali sognano di fare un po’ i francesi, o agli snob fiorentini che vorrebbero tanto chiamare le loro colline Chiantistiche, a noi romani, invece, di diventare inglesi, o francesi, o tedeschi, o per lo meno spagnoli non ci interessa per niente. Ed io, nativo dello storico rione del Testaccio con discendenze trasteverine, cresciuto nel quartiere “giardino” della Garbatella e, dopo essermi sposato da 22 anni, residente ad Ostia “il mare di Roma” -e, quindi, profondamente romano e ben lieto di esserlo- posso, a ragione, affermare che noi romani, da più di duemila anni, a torto o a ragione, ci sentiamo superiori a tutti. E’ un atteggiamento che fa parte della nostra storia, del nostro carattere e del nostro modo fanfarone, ma sincero, di affrontare la vita. Ce lo vedete un romano fare la fila alla posta di Testaccio come Mr. Jones al post office di Kensington? Ce lo vedete un romano parcheggiare la sua automobile come un danese a Copenaghen? O ridere delle insipide barzellette fiamminghe? E quando va in spiaggia vestirsi come quei tedeschi con sandali e calzini che incontri non solo sul lungomare di Ostia, ma anche, con lo stesso look, nel centro di Roma? No, non è bastato certamente l’euro a convincerci che un wurstel vale una coscia d’abbacchio né che la pancetta con le uova fritte sia più saporita dei rigatoni con la pajata o della coda alla vaccinara che cucinava mia nonna Jole. E, fortunatamente, allo stesso modo la pensano anche i miei figli Gabriele e Alessandro e tanti loro amici. Il romano è un osso duro per l’Europa. Prima di piegarci ad un nuovo modo di vivere e di pensare passeranno molti anni, forse diverse generazioni. E, probabilmente non ci riusciranno mai! Del resto “civis romanus sum!

Scritto da Mario Pulimanti (Lido di Ostia-Roma)

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