luigi lucchi
Signor direttore,
oggi, per la prima volta, dal 1972, data della mia prima tessera PSI che sanciva la mia passione, pubblica, per la politica, protratta con entusiasmo granitico e coerenza delle idee fino ad ora, ho avuto un forte ripensamento e quasi il rimpianto delle mie scelte, del mio impegno civico.
Per la prima volta s’è incrinata la mia convinzione che mi portava a credere che avrei voluto rivivere mille e mille volte il mio coerente percorso politico e il mio impegno.
Ho firmato, infatti, per la prima volta, un trattamento sanitario obbligatorio. In gergo il TSO opponendo la mia firma di Sindaco insieme a quella di due medici per far ricoverare un mio concittadino in preda a una crisi distruttiva e autodistruttiva. Una miseria umana che mi ha scosso profondamente e mi ha fatto sentire inadeguato, inerme.
Quando si chiede il voto per diventare Sindaco si immaginano e si conoscono tante incombenze da affrontare: problemi di risorse, problemi organizzativi della struttura, impegno per accrescere il consenso, desiderio di realizzare progetti e programmi che possano ridurre i dolori evitabili dei propri concittadini. Si può arrivare perfino a prefigurare “l’odio” e tante angherie come gli esposti in ogni settore della vita amministrativa e perfino della propria vita privata. Si arriva, per esperienza, come è successo, a mettere in conto momenti di emergenza come il terremoto (27 gennaio 2012), giornate di gelicidio e allerte, costanti, per mesi, per la situazione idro-geologica del fragile territorio appenninico come avviene da mesi.
Non avevo messo in conto, e credo nessun candidato lo faccia, l’incombenza, come Sindaco, di firmare il TSO. Un’esperienza sconvolgente dalla quale mi sarei sottratto pur comprendendo che la firma del Sindaco diventa una tutela, un atto garantista, verso la persona, l’ammalato. Forse sono contaminato dall’uso politico che s’è fatto, in tanti Paesi, del ricovero coatto per “pazzia” e anche dall’azione meravigliosa svolta dall’amico Mario Tommasini per dare contorni di dignità alla malattia mentale. Resta, però, tutta la pena nel prendere visivamente atto di quanto siamo fragili non solo per le malattie del fisico ma anche di quelle, improvvise, della nostra mente che lascia immutate se non accresciute le nostre forze ma volte, ad esempio, alla distruzione.
In tutto questo dolore, macerazione, restano il sorriso e le parole, addirittura di stima, del paziente, e la constatazione del rispetto che nei suoi confronti hanno avuto i medici, gli infermieri, le forze dell’ordine e i militanti della Croce Rossa.
Luigi Lucchi
Sindaco di Berceto
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