Torino, dove mi si fermerà il cuore.

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Il sole è già alto.

Sono quasi le dieci di un giorno lavorativo e stantio, ma lì non sembra, tra tanto acciaio appena rasato, tanta porcellana da bidet e tante finestre panoramiche e pure ecologiche, perché accanto a ciascuna di esse hanno situato una colomba di plastica.
Sta andando a Via Menabrea da Luca, il fratello che vive nel nuovo quartiere del Lingotto, quartiere di uffici così luccicanti e moderni che persino i pensieri osceni degli impiegati vengono registrati su un hard disk.
Quartiere che rappresenta il moderno, icona di Torino, nel mondo, accanto all’immagine della Mole Antonelliana.
Pessimo luogo per Simone Ferrero.
Il sole gli procura il cancro alla pelle e i raggi catodici del computer gli fanno scoppiare la vescica.
Entra in un caffè a via Nizza, di fronte a un nuovissimo hotel.
A fianco dell’Auditorium “Gianni Agnelli”, la principale struttura atta ad ospitare eventi concertistici a Torino.
Nel bar ci sono quattro tavolini, un bancone con due clienti addormentati, uno scaffale con bottiglie di Barolo, di Caluso e di Canavese e una birra alla spina carissima, talmente cara che pare fatta con saliva di vescovo.
Simone beve un sorso e sospira:
“Che giornata”.
“Ce ne sono state di peggiori. Lo sa pure tua moglie Teresa. A proposito, come sta?”.
“Fortunatamente, non mi ha più rotto le scatole con quella vecchia storia. Si era messa in testa che avevo un’amante!”.
“Una donna?”.
“Sì, scherza pure….ma quante ne ha fatte passare…”.
“Vada a fare in culo, la Teresa”.
“Mi hai chiesto di lei, e io ti ho risposto nei limiti del possibile, Luca, in questa città dove i miei polmoni sono perforati dai tubi di scappamento e dove il sole cuoce ciò che resta delle mie mucose virili. Questa cosa mi disorienta, Luca, perché anche se sono vecchio, mi sento ancora giovane”.
Entrano nel bar due commercianti dicendo che i caffè presi durante l’orario di lavoro dovrebbero essere detraibili dalle imposte; entrano poi due donne chiedendo un salario per le casalinghe.
“E adesso cos’hai intenzione di fare, Simone?”
“Di tornarmene a casa”. E aggiunge, mentre termina la sua birra:
“Non mi rimane altro che aspettare un po’ e continuare a vivere così a modo mio. Sarà la mia rovina, ma credo di aver ormai vissuto abbastanza e di non dover fare più nulla. Solo aspettare. Aspettare la morte”.
San Salvario, quartiere centrale di Torino, situato tra la stazione di Porta Nuova e il parco del Valentino, vibra e Simone ci si immerge con gioia.
Ci sono case, soprattutto vicino a Corso Guglielmo Marconi.
Entra a casa di Roberto, un suo amico.
Vede le pareti, le piastrelle della vecchia cucina, gli scarabocchi disegnati dalla bimba in sala da pranzo, i segni del letto in cui la mamma e il papà ne fecero di tutti i colori.
vede gli ancoraggi delle scale dei condomini, i buchi delle finestre che danno sul cortile.
resta l’ombra di un mondo che è pieno di vita, di sacrificio, di peccato e di speranza.
La casa ha anche qualcos’altro.
Una lampada solidamente fissata a una trave, una lampada con lampadina da sessanta watt per illuminare scopate da anniversario e merende da funerale.
Simone si passa il dorso della mano sulle labbra, e sente di averle secche.
Gran puttaniere, il Roberto!
Nella stanza da letto intravede una scarpa con il tacco, alto, sottile, di buona qualità.
Di pelle, foderata, elegante.
Una di quelle scarpe con i tacchi alti, ideali per le avventure erotiche, da fare indossare alla signora grassottella perché scali il materasso, e poi si dondoli sulle punte e mostri le sue bellezze prima di cadere di culo sul prepuzio di un giovane amante.
Con delle scarpe simili, una donna fa meraviglie, si dice Simone.
Preso il caffè, saluta Roberto.
Torna a casa.
Crocetta.
Zona universitaria.
Anche a quest’ora carica di ragazze dalle tette atomiche.
Simone si rende conto con orrore che, nel vederle, non prova assolutamente nulla.
Scende quasi di fronte a Corso Einaudi, disposto a tornare indietro e a fare un pezzetto a piedi per riordinare i pensieri.
I marciapiedi di Corso Galileo Ferraris sono tranquilli, frequentati solo da ciclisti disperati che si allenano per dimagrire, colombi viaggiatori sfuggiti alla campagna vicino allo Stadio delle Alpi e corridori di jogging talmente sfiniti da pulirsi la maglietta con la lingua.
Ciononostante, a Simone quest’ambiente ispira pace.
Sta camminando al centro della strada del marciapiede quando a un tratto lo vede.
Volto sfigurato.
Occhi fuori dalle orbite.
Mani tremanti.
Colorito giallo da santo martire piemontese.
Luciano quasi gli cade tra le braccia mentre geme: “Simone!”.
Poco prima, Luciano non si trovava in quello stato.
Poco prima, Luciano, in una inserzione del giornale aveva visto un annuncio della sezione “amicizie”: “Giovane studentessa non professionista, zona Precollina, alta classe, accetterebbe relazione o contatto con signore serio e benestante”.
Roberto é serio, ma non benestante, anche se comunque ha avuto il coraggio di telefonarle, quasi chiedendole scusa.
Abituato a tradire la sua fedele moglie (che fosse fedele lo immagina) con donne volgari dei quartieri pericolosi come Porta palazzo, Falchera, Vallette-Lucento e Barriera di Milano, che si prestano i clienti e le mutande, una ragazza di Precollina con le gambe abbronzate per le partite di tennis, le tettine da laboratorio e il culetto profumato alla lavanda lo ha fatto eiaculare al solo pensiero.
L’unica cosa che l’ha spaventato é che il padre di lei possa scoprire, perché le bambine di Precollina hanno sempre un padre importante.
Il prezzo non é modico, però Roberto, ormai lanciato, ha pensato che potrebbe chiedere un prestito.
Se ne è andato così nella zona Precollina, o nei paraggi, perché la ragazza gli ha detto che non pecca nel suo quartiere.
E’ una ragazza alta, rotondetta, con un viso, a guardarlo bene, di chi si dedica ai lavori pesanti: ma indossa delle scarpe basse, le calze corte e ha un libro.
Una vera universitaria, ha infatti pensato Roberto. Sguardo pulito e affaticato dagli studi. Calzette corte. Un libro.
Invece s’é sbagliato.
L’ha invitato ad entrare nella sua auto.
Roberto ha subito capito qualcosa, qualcosa che gli era rimasto sulla punta del naso: un odore speciale di denaro sporco, di sperma giovane, di profumo di lavanda e scoreggia di puttana.
Appena entrato è stato subito picchiato da un amico della ragazza e derubato.
Poi scaraventato fuori dall’auto che è subito ripartita di corsa.
Allontanandosi, definitivamente.
E’ qui che vede Simone avvicinarsi e gli corre incontro.
Vanno dalla Polizia, dove vengono informati che si tratta di una nota coppia di ladri rumeni, ben nota alle forze dell’ordine.
Simone vede le foto segnaletiche: Marcel e Roxana.
Una rumena. Avrà trenta anni. Dietro di lei –pensa Simone- deve esserci un appartamento a Mirafiori pagato in contanti, un’auto comprata a rate, un grande amore che in realtà è un pappone, dei genitori in pensione che vanno a messa tutti i giorni e vivono a Mogosoaia.
La Polizia gli avvisa anche che Roxana era andata per mesi a casa di un mutilato che doveva fare tutto su una sedia a rotelle, prima di derubarlo di tutto.
Simone saluta uno sconcertato Roberto.
In sostanza, pensa tornando a casa, è tutta colpa dell’intuito.
Quello che non ha avuto Roberto.
Altrimenti non sarebbe mai andato da Roxana.
L’intuito è fondamentale per guadagnare, perché se aspiri a seguire metodi scientifici e a dimostrare tutto, appena l’hai dimostrato i soldi se li è già fregati qualcun altro.
Forse è questa la ragione per cui quelli che non vengono mai promossi alla fine diventano più ricchi degli altri.
Torino, pensa Simone.
La mia città, dove mi si fermerà il cuore.
E’ vero.

Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)

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