Vado in camera e dormo un paio d’ore, finché Gabriele non mi sveglia entrando e accendendo la luce centrale. Batto le palpebre, guardo la sveglia. E’ più presto di quanto credessi: appena l’una e un quarto. Non riesco a riaddormentarmi. Allora mi alzo e esco sul balcone. Ho sempre dormito poco. Ma negli ultimi tempi dormo ancora meno. Probabilmente è questo il motivo per cui vado soggetto a una sorta di spossatezza non comune: in un paio di occasioni mi è capitato addirittura di addormentarmi nel bel mezzo di una conversazione. Mia madre mi ha sempre consigliato di dormire di più.
Ma non ci sono mai riuscito. Mia madre. Mia moglie mi accusa bonariamente di telefonarle troppo spesso. E con l’aria di trarre conclusioni sulla mia maturità; peggio sulla mia mascolinità. Mia moglie. Ricordo il turbamento che mi ha provocato una sua telefonata, quando ancora non eravamo sposati. Mi aveva chiamato per dirmi che Pelè, il gatto di famiglia, era rimasto ucciso quella mattina, investito da un furgone appena fuori del vialetto d’ingresso. Non mi vergogno a dire che avevo provato dolore per un fatto del genere. Esistono persone che non hanno bisogno d’impegnarsi fino alla morte. Io no. Sono sgobbone. Ho un serio problema di autostima? Sarà questa la ragione principale per cui al lavoro non ottengo mai niente, o quantomeno meno di altri? A proposito, mi chiamo Mario. Vero. E non ho mai avuto sponsor. Vero anche questo. Il mio cantante preferito è Bob Dylan. Anni sessanta. Libero amore, nastri sulla fronte, camicie a fiori. Woodstock. La mia attrice preferita è Nicole Kidman. Infilo distrattamente una mano sotto la sua vestaglia e gliela piazzo sul seno. Sospiro. Dal balcone intravedo il parco giochi di Piazza delle Repubbliche Marinare. All’ombra degli ibiscus c’è un graticcio ad arco coperto di rampicanti. Vorrei che nei parchi di Ostia, all’ombra degli alberi, fiorissero rose e gelsomini. Mare. Sono abbonato allo Stabilimento Co.Tral Roma. Mi vengono alla mente due immagini di ieri: un gruppetto di bambini giocare nella sabbia con palette e secchielli e nel cielo azzurro la doppia scia di un jet. Penso a Collevecchio. Il cielo splendente di stelle misteriose. La luna avvolta in una foschia d’argento. I grilli friniscono nell’oscurità e il vento canta tra gli alberi. Collevecchio, la terra dei miei antenati. Mio padre è sepolto in quella terra. Mi manca. Urlo. In silenzio. Tanto da sentire il petto esplodere.
Scritto da Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)
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