Yasser Arafat è morto.

Attualità e Società

Yasser ArafatParigi: i medici dell’ospedale dove il leader palestinese Yasser Arafat è ricoverato ne hanno dichiarato la morte celebrale.
Arafat – che ha compiuto 75 anni ad agosto – è dal 1969 la guida politica del popolo palestinese da decenni in conflitto con lo stato di Israele.

Yasser Arafat (nato il 4 o 24 agosto 1929 con il nome di Muhammad Abd al-Rahman ar-Rauf al-Qudwah al-Husayni ma conosciuto anche come Abu Ammar) è uno statista mediorientale ed una figura di spicco del panorama politico mondiale.
È dal 1996 il presidente dell’Autorità palestinese, della quale era stato precedentemente il rais.
La sua figura ha finito con il diventare il simbolo stesso della causa palestinese.
Personaggio complesso e controverso, uomo d’azione ma anche prudente diplomatico, Arafat è stato accusato da alcune parti di atti di terrorismo, ma da altre riconosciuto come pedina indispensabile in un processo di pace che ponga fine alla crisi mediorientale.
Nel 1994 gli è stato conferito il Premio Nobel per la pace unitamente ai leader israeliani Shimon Peres e Yitzhak Rabin per l’opera di diplomazia compiuta al fine di rappacificare le popolazioni dei territori contesi della Cisgiordania.

Arafat – in arabo: ياسر عرفات – è salito nel 1969 alla guida dell’OLP, Organizzazione per la liberazione della Palestina diventando capo di Al Fatah, ala oltranzista e maggiore fazione interna dell’OLP.

Arafat si è sposato in età avanzata con una palestinese di nome Suha, aderente alla religione cristiana e diventata cittadina francese, la quale ha dato al leader palestinese una sola figlia.
Attualmente Suha e la figlia vivono a Parigi, dove Arafat è stato trasferito il 29 ottobre 2004 per essere curato a causa delle critiche condizioni di salute in cui versava.
Proprio gli stessi medici parigini nel pomeriggio di ieri hanno confermato le insistenti voci sul decesso del leader.
Non volendo mai designare un suo successore i personaggi papabili a ricoprirne l’incarico sono l’ex premier Abu Mazen, attuale segretario generale del Comitato Esecutivo dell’OLP, appoggiato sia dagli USA che da Israele, Dahlan, ex ministro della sicurezza e Barghuti, il palestinese più famoso dopo Arafat ma che attualmente è in carcere.

Per avere un quadro più completo della vita di Arafat e della situazione nei territori occupati tracciamo un sunto della sua vita e degli avvenimenti a lui legati.
Arafat è il primo dei sette figli di un mercante. La data ed il luogo della sua nascita sono controversi. Il suo certificato di nascita, scoperto all’università del Cairo, afferma che è nato al Cairo (Egitto) il 24 agosto 1929. Altre fonti sostengono che invece sia nato a Gerusalemme il 4 agosto 1929. Da notare che nella sua biografia ufficiale, Alan Hart, conferma come il capo dell’Autorità palestinese sia nato al Cairo.
Arafat ha trascorso la maggior parte della sua giovinezza al Cairo, fatta eccezione per quattro anni (dopo la morte della madre, avvenuta in data imprecisata quando aveva tra cinque e nove anni) quando ha vissuto presso uno zio a Gerusalemme. Mentre studia all’università del Cairo – dove consegue la laurea in ingegneria civile – aderisce alla Fratellanza Mussulmana e all’Unione degli Studenti Palestinesi, della quale diviene presidente dal 1952 al 1956.

Mentre è al Cairo sviluppa una stretta relazione con Haj Al-Husseini, conosciuto come il Mufti di Gerusalemme. Nel 1956 presta servizio nell’esercito egiziano durante la crisi di Suez.
Al Congresso Nazionale Palestinese tenutosi al Cairo il 3 febbraio 1969, diviene leader dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina.

In realtà, l’impegno politico di Arafat ha radici più antiche e risalgono a quando, spostatosi in Kuwait per lavorare come ingegnere, collabora a fondare Fatah (o Al Fatah), organizzazione che ha come obiettivo la creazione di uno stato palestinese indipendente.
Nel 1963 Fatah, appoggiata dalla Siria, programma la sua prima azione militare, il sabotaggio di un impianto idrico israeliano. L’azione avviene nel dicembre del 1964 ma si rivela un fallimento. Comunque, dopo la Guerra dei sei giorni, nel 1967, quando Israele sposta la sua attenzione dagli stati arabi alle varie organizzazioni palestinesi, una di queste è – appunto – Fatah.

Nel 1968 l’organizzazione palestinese è il principale obiettivo dell’attacco israeliano al villaggio giordano di Karameh, azione nella quale muoiono centocinquanta guerriglieri palestinesi e ventinove soldati israeliani sono uccisi, in buona parte dalle forze regolari giordane. Malgrado le forti perdite, la battaglia è considerata una vittoria per Fatah (esultante per il ritiro degli israeliani) e contribuisce ad aumentare il prestigio di Arafat e di Fatah stessa.

Nel 1969 Arafat diviene, quindi, portavoce dell’OLP rimpiazzando Ahmed Shukairy, che era stato proposto dalla lega araba. Arafat diviene due anni dopo comandante in capo delle Forze rivoluzionarie palestinesi e due anni dopo ancora responsabile del Dipartimento politico dell’OLP.
Nello stesso periodo le tensioni tra il governo di Giordania ed i palestinesi iniziano ad aumentare. Elementi della resistenza palestinese in armi (i cosiddetti fedayn o feddayn) creano uno “stato nello stato” all’interno della Giordania (controllando anche numerose zone strategiche tra cui la raffineria di Az Zarq) finendo per costituire un pericolo per la sovranità dello stato hashemita.
Lo scontro diventa aperto nel giugno del 1970. Vari governi arabi tentano di mediare una soluzione pacifica ma nel settembre, continuando le operazioni dei fedayn, tra cui il dirottamento e la distruzione di tre aerei di linea, fanno propendere il governo giordano per una azione di forza mirante a riprendere il controllo del territorio. Il 16 settembre il re Hussein di Giordania dichiara la legge marziale e lo stesso giorno Arafat diviene comandante supremo dell’ELP (Esercito per la liberazione della Palestina), forza armata regolare dell’OLP.
Nella guerra civile che ne segue L’OLP ha il supporto della Siria che invia in territorio giordano una forza di circa 200 carri armati. Gli scontri avvengono principalmente tra forze giordane ed ELP sebbene gli USA dislochino la sesta flotta nel mediterraneo dell’est e Israele metta a disposizione della Giordania alcuni reparti militari.

Il 24 settembre l’esercito giordano riesce a prevalere e l’ELP è costretto a chiedere una serie di cessate il fuoco. Durante le azioni militari l’esercito giordano attacca anche i campi profughi dove i civili palestinesi si sono rifugiati dopo la Guerra dei sei giorni: le vittime sono migliaia. Questo massacro viene ricordato dai palestinesi come “il settembre nero”.

In seguito alla sconfitta, l’OLP si sposta dalla Giordania al Libano. Grazie alla debolezza del governo centrale libanese, l’OLP potè operare in uno stato virtualmente indipendente (chiamato infatti da Israele Terra di Fatah). L’OLP inizia ad usare il territorio libanese per lanciare attacchi di artiglieria contro Israele e come base per le infiltrazioni di guerriglieri. A queste azioni corrispondono attacchi di ritorsione israeliani in Libano.

Nel settembre 1972 il gruppo “Settembre Nero” (che si ritiene, peraltro senza alcuna prova certa, aver avuto la copertura di Fatah) rapisce ed uccide undici atleti israeliani durante i Giochi Olimpici di Monaco di Baviera. La condanna internazionale per l’attacco porta Arafat a dissociarsi pubblicamente da tali atti.

Due anni dopo, nel 1974, Arafat ordina all’OLP si sospendere qualsiasi azione militare al di fuori di Israele, della West Bank (la riva ovest del Giordano e della striscia di Gaza. Nello stesso anno il leader palestinese diviene il primo rappresentante di un’organizzazione non governativa a parlare ad una sessione generale delle Nazioni Unite.

Intanto continuavano a ripetersi, da alcune parti, le accuse verso Arafat di una dissociazione solo di facciata dal terrorismo. Sta di fatto che il movimento Fatah continuò a lanciare attacchi contro obiettivi israeliani. Gli anni Settanta furono caratterizzati in Medio Oriente dalla comparsa di numerosi gruppi palestinesi estremisti pronti a compiere attacchi sia in Israele che altrove. Israele dichiarò che dietro tutto questi gruppi vi era Arafat il quale però smentì sempre ipotesi.

Sta di fatto che nel 1974 i capi di stato arabi riconoscono l’OLP come unico rappresentante legittimo di tutti i palestinesi. Due anni dopo la stessa OLP viene ammesso come membro a pieno titolo nella Lega Araba.
In Libano, intanto, la situazione degenera in una vera e propria guerra civile tra la componente cristiano maronita e quella musulmana appoggiata dell’OLP. I cristiano maroniti accusano Arafat e l’OLP di essere responsabili della morte di decine di migliaia di membri del loro popolo. Israele si allea con i cristiano maroniti mettendo in atto due azioni di invasione del Libano: la prima (nel 1978), chiamata Operazione Litani porterà una stretta striscia di terra (detta fascia di sicurezza) ad essere conquistata ed annessa con l’aiuto del IDF e dell’esercito sud-libanese (ELB); la seconda (nel 1982), detta Pace in Galilea, vedrà Israele occupare la maggior parte del sud del Libano per ritirarsi poi, tre anni dopo, nella fascia di sicurezza.

È durante questa seconda invasione che alcune migliaia di civili palestinesi vengono massacrati nei campi profughi di Sabra e Chatila dai falangisti cristiano maroniti che avevano ottenuto il permesso Israeliano di attaccare i campi. Tali azioni determinano una reazione internazionale con l’invio di una forza armata internazionale di interposizione (forza alla quale partecipano anche unità italiane). L’allora ministro della difesa israeliano Ariel Sharon venne ritenuto l’indiretto responsabile dei massacri.
Nel settembre 1982, durante l’invasione israeliana, gli USA ottengono una tregua in virtù della quale Arafat e l’OLP possono lasciare il Libano per trasferirsi in Tunisia. La nazione nordafricana rimarrà il centro delle operazioni palestinesi sino al 1993.

Negli anni ’80 Arafat riceve assistenza da Saddam Hussein, allora presidente dell’Iraq, assistenza che gli permette di riorganizzare il gruppo dirigente dell’OLP fortemente ridottosi dopo la guerra civile libanese. La nuova struttura dirigenziale viene utilizzata durante la Prima Intifada, iniziata nel dicembre 1987.

Il 5 novembre 1988 l’OLP proclama la creazione dello stato della Palestina – sia pure con un governo palestinese in esilio – nei termini della Risoluzione n. 181 dell’ONU. Il 13 dicembre 1988, Arafat dichiara di accettare la Risoluzione n. 242 promettendo il futuro riconoscimento dello stato di Israele e la rinuncia al terrorismo.

Il 2 aprile 1989 Arafat è eletto dal Consiglio Centrale del Concilio Nazionale Palestinese (che governa l’OLP) presidente dello stato Palestinese. Il 13 dicembre dello stesso anno il governo USA propone la formazione di due separate entità statali: Israele, entro i confini fissati precedentemente al 1967 (Guerra dei sei giorni), e Palestina, composta da Cisgiordania e striscia di Gaza.
Questo evento mette in moto un processo politico di grande importanza. Nel 1991 nella Conferenza di Madrid, Israele apre per la prima volta negoziati diretti con l’OLP. Nello stesso anno, con l’esplosione della Guerra del Golfo, le relazioni con Saddam Hussein diventano il maggior problema di Arafat. L’OLP rimarrà tuttavia il solo stato arabo a schierarsi dalla parte dell’Iraq subendo quindi il boicottaggio degli USA che cercano di bloccare le trattative tra palestinesi e israeliani.
Nel 1993 vengono raggiunti gli accordi di Oslo che prevedono l’autogoverno per i palestinesi della Cisgiordania e della striscia di Gaza entro cinque anni. L’anno seguente Arafat, insieme a Shimon Peres ed a Yitzhak Rabin, viene insignito del premio Nobel per la pace. Nel 1994 si trasferiscono nell’Autorità palestinese (in sigla: PA) le prerogative dell’entità provvisoria prevista dagli accordi di Oslo.

Il 20 gennaio 1996 Arafat viene eletto presidente dell’Autorità provvisoria con una maggioranza dell’87% rispetto all’altro candidato, Samiba Khalil. Osservatori internazionali indipendenti confermano il corretto svolgimento delle elezioni ma da alcune parti viene fatto notare che, stante la rinuncia al voto da parte di alcune forze di opposizione alla linea di Arafat, il suffragio non può considerarsi avvenuto nella completa democraticità. Nuove elezioni, annunciate per il 2002, sono state posposte a causa della situazione interna tale da non permettere, a causa delle restrizioni imposte con la forza da Israele, il libero movimento nei Territori e quindi lo svolgimento di una campagna elettorale.

A partire dal 1996, ad ogni buon conto, Arafat, quale leader dell’Autorità palestinese, viene chiamato con la parola araba ra’is il cui significato rimane ancora però controverso. Per Israele, che non vuole riconoscere l’esistenza dello stato palestinese, significa portavoce, mentre nei documenti palestinesi in lingua inglese viene traslitterata come presidente.

Gli USA seguono la prassi Israeliana mentre le Nazioni Unite quella palestinese. Nello stesso anno 1996, a seguito del ripetersi di attacchi suicidi portati a termine da elementi estremisti palestinesi (attacchi che causano numerose vittime in Israele), le relazioni tra Autorità palestinese e Israele peggiorano nettamente ed il nuovo primo ministro Benjamin Netanyahu blocca la transizione alla formazione dello stato Palestinese prevista dagli accordi di Oslo.

Nel 1998 il presidente statunitense Bill Clinton cerca di ricucire i rapporti tra i due leader mediorientali. Il risultato dei suoi sforzi è il memorandum del 23 ottobre 1998 che specifica i passi per il completamento del processo di pace.

Arafat continua i negoziati con il successore di Netanyahu, Ehud Barak. Questi, sia perchè proveniente dal Partito laburista (mentre il suo predecessore proviene dalle file del partito di destra Likud) sia in seguito alle pressioni del presidente Clinton, offre ad Arafat uno stato palestinese nella Cisgiordania e nella Striscia di Gaza con capitale Gerusalemme est, il ritorno di un limitato numero di profughi ed un indennizzo per gli altri. Con una mossa estremamente criticata Arafat rifiuta l’offerta di Barak senza peraltro presentare delle controproposte.

Nel dicembre 2000, ad una visita di Ariel Sharon alla spianata della Moschea di Aqsa – considerata provocatoria dagli osservatori internazionali – lo scontro tra israeliani e palestinesi si riaccende con rinnovata violenza in quella che prende il nome di Seconda intifada palestinese.
La morte celebrale e lo stato di coma a livello 4 arrivano nel pomeriggio del 4 novembre 2004, l’11 novembre alle ore 3:30, nello stesso ospedale militare dove era ricoverato dal 29 ottobre, muore.
Dopo i funerali,che si terranno il 12 novembre nella capitale egiziana del Cairo, il suo corpo avrà sepoltura temporanea nella muqata di Ramallah, a Gaza (Cisgiordania), roccaforte del leader mediorientale e quartier generale dell’Autorità Nazionale Palestinese.
È intenzione delle autorità palestinesi seppellirlo a Gerusalemme quando esisterà un stato palestinese indipendente.

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