Come ho già avuto modo di dire, la Regione Emilia-Romagna ha con prontezza attuato politiche che favorissero i progetti di produzione di energie rinnovabili, in relazione agli obiettivi fissati per l’Italia nel Protocollo di Kyoto e in coerenza con il “Piano energetico regionale”.
Importanti risultati sono stati raggiunti con largo anticipo anche per la priorità data al risparmio energetico e a tutte quelle soluzioni che permettessero di produrre energia in modo pulito e con il minor impatto possibile.
Il piano regionale stabilisce con chiarezza che la produzione da fonte eolica non è invece prioritaria per l’Emilia-Romagna proprio per la consapevolezza, dati alla mano, che il nostro territorio spesso non è sufficientemente ventoso sia per quantità che per qualità dei venti.
E non solo la pianura ma anche il crinale appenninico.
I dati a consuntivo che giungono dagli impianti realizzati, soprattutto per quelli più grandi, sono infatti deludenti. Relativamente alle ore dichiarate e certificate in fase di progetto dalle aziende proponenti, le ore effettive di produzione risultano essere spesso meno della metà rispetto ai minimi indicati dalla legge regionale.
Proprio per questo vorrei ricordare a chi tenta di interpretare diversamente che il calcolo delle ore di vento deve essere effettuato “alla massima potenza nominale” e non con il fuorviante metodo delle “ore equivalenti” in cui tutti i venti, anche quelli non adatti per intensità e direzione a far funzionare autonomamente le pale, vengono invece conteggiati. Deve essere quindi garantita una notevole produttività a fronte di un impatto ambientale e paesaggistico comunque certo.
Abbiamo visto in questi giorni con il passaggio delle enormi pale nel Comune parmense di Albareto per arrivare all’impianto toscano di Zeri che tipo di danno portano impianti così sproporzionati e impattanti per aree naturalisticamente delicate e importanti.
Sono dovuti intervenire Consiglio di Stato e poi Carabinieri e Polizia Forestale per bloccare la troppa fretta di aziende coinvolte in importanti indagini di mafia, a caccia di incentivi in scadenza e che nulla si preoccupano delle esigenze delle popolazioni. Un cantiere che proseguiva addirittura di notte nonostante lo stop della magistratura, dopo aver devastato boschi e strade con metodi che si commentano da soli.
Un riferimento imprescindibile non può che essere quello della legalità e della massima trasparenza, anche nella valutazione degli accordi dei singoli Comuni con le aziende, ricordando allo stesso tempo che il Consiglio di Stato ha messo la parola fine a qualsiasi “mercanteggiamento” possibile sulle compensazioni ambientali, che non vanno intese come una risorsa economica da destinare a piacere, ma appunto una mitigazione dei danni che la “Conferenza dei Servizi Regionale” (e solo in quella sede!) programma per ridurre l’impatto sui territori. Misure non esclusivamente economiche, ma che devono essere obbligatoriamente richieste alle ditte proponenti anche sotto forma di interventi diretti e lavori di ripristino.
L’attenzione dell’Assessorato Regionale all’Ambiente è quindi altissima per i progetti in fase di approvazione, come ad esempio quello presentato per il Passo del Santa Donna tra Borgo Val di Taro e Bardi (PR), dove sono ben 9 le pale da 150 metri previste, dopo che in Regione era stato presentato solo un anno fa dalla stessa ditta e per lo stesso luogo un progetto da 3 pale e che aveva visto gli uffici competenti richiedere ben 46 integrazioni e chiarimenti.
Dubbi emersi allora sull’impatto delle strade per trasportare gli enormi aerogeneratori su quelli che adesso sono sentieri escursionistici o piste forestali in zone fittamente boscate, sui dati degli anemometri incompleti ed errati, sull’assetto idrogeologico, sull’impatto per fauna e avifauna e tanti altri aspetti che nel progetto non erano sufficientemente chiari.
Le zone interessate registrano fra l’altro una significativa inversione di tendenza rispetto al dato storico di spopolamento dell’Appennino, con insediamenti legati al turismo e quindi al territorio, al paesaggio e all’ambiente.
Basti pensare che la Val Vona e la Val Noveglia sono a livello regionale le valli con la più alta densità di agriturismi e bed & breakfast. Tante piccole frazioni e villaggi si sono ripopolati con importanti recuperi dei borghi storici, con rilancio delle attività artigianali locali legate all’edilizia di qualità. La politica tenga quindi conto della sua funzione fondamentale di programmazione e pianificazione del territorio, non contraddicendo se stessa proprio dove importanti risultati sono stati ottenuti. Impianti industriali così sproporzionati e impattanti sarebbero incompatibili con quelle esemplari realtà.
Altro criterio da non dimenticare è quello della tutela della salute, secondo la logica della prevenzione con le massime precauzioni possibili. Se da un lato non sono ancora certificati in Italia i possibili danni di suoni e soprattutto degli infrasuoni, va ricordato che in altri Paesi la cosiddetta “Sindrome da pala eolica” è scientificamente accertata e di conseguenza la realizzazione degli impianti prevede vincoli molto più stringenti, soprattutto per quanto riguarda la distanza da qualsiasi casa abitata o da allevamenti e stalle. Nel dubbio deve prevalere prima di tutto la cautela.
Voglio quindi tranquillizzare i cittadini, ringraziandoli per il ruolo fondamentale di vigilanza civica che hanno assunto con la formazione dei vari comitati, confermando il mio forte impegno a favore dell’ambiente montano e dei suoi abitanti.
Sabrina Freda – assessore regionale all’Ambiente e alla Riqualificazione urbana
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