C’è quell’orologio.
Fermo, ma che non dovrebbe esserlo. Avrebbe il suo compito da svolgere, indicare, minuto dopo minuto lo scorrere del tempo.
Indicare che è giunto il momento del diretto per Milano, del treno che porta al mare, del fatto che sono in ritardo e che a Parma arriverò sicuramente in ritardo.
Invece è fermo. Ma non è strano, sono le 10 e 25 ed è una calda mattina, le scuole sono chiuse e chi può scappa dalla città.
C’è chi attende con ansia le ferie e chi, magari appena assopito dal viaggio che lo porterà in Svizzera, apre un occhio e vede che ha ancora alcune ore di viaggio.
Siamo a Bologna.
E’ il 2 agosto.
L’orologio della stazione ferroviaria è fermo, ma non è strano.
Nella sala d’aspetto di seconda classe cosa succede?
Il solito via vai di passeggeri, magari Luca di sei anni gioca con la nuova amica Sonia, di sette.
Brigitte starà pensando a dove sviluppare le foto della sua vacanza e Antonio che c’è caldo, molto caldo e le stazioni sono rumorose, caotiche e non c’è mai da sedersi, come sull’autobus, specialmente la linea 37.
Poi ci sono i bagagli.
Pesanti, ingombranti e mai nessuno che ti aiuta a portarli.
Uno in particolare, è li appoggiato su un tavolino basso, gonfio. Si vede che è pesante.
E’ 23 kili ma non è li incustodito e dimenticato.
L’hanno lasciato li apposta e se ne sono andati.
E’ una bomba.
Talmente potente da far crollare una parte della stazione di Bologna, investire un treno in attesa sul binario, far crollare trenta metri di pensilina, mutilare, straziare ed uccidere.
Fermare un orologio.
Si può anche morire in stazione, alla mattina, d’agosto; lo si può fare senza sapere, in fondo perché, chi.
E’ il 1980, lo è di 32 anni fa, e non dimentichiamo.