Finanziamenti al cinema italiano

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Berlusconi ha inserito il disegno di legge sui finanziamenti al cinema fra le grandi riforme del suo governo: “Favorirà l’intervento dei privati nel cinema e di conseguenza la libertà della cultura”, ha spiegato. Le agevolazioni per il cinema risalgono in Italia al 1965, e furono istituite per dare un sostegno agli esordienti di talento coprendo il 90% delle spese sostenute per girare: se poi il film funzionava bene al botteghino questi soldi dovevano essere restituiti. All’inizio potevano essere finanziate ogni anno fino a un massimo di 20 opere prime, ma nel ’94 autori e produttori ottennero che fosse allargato il finanziamento anche a film che, secondo una commissione di esperti nominata dal ministero, presentassero un interesse culturale nazionale. Senza limiti numerici. Tra il ’94 e il 2006, ad esempio, lo Stato ha destinato ben 817 milioni di euro a 544 film; solo 25 di essi sono riusciti a recuperare in toto i soldi ricevuti. Un meccanismo infernale che vide premiare non solo opere di scarso interesse e di nessun successo al botteghino, ma soprattutto pellicole – in media una su tre – che spesso nemmeno arrivavano nelle sale. Il problema è che dietro a questi film che non escono, ci sono altrettante società costituite appositamente per realizzarli e che falliscono alla fine delle riprese». In sostanza, per dirla con Woody Allen, “prendi i soldi e scappa”. Qualcosa è cambiato nel 2007, grazie a una norma introdotta nella Finanziaria da Gabriella Carlucci e Willer Bordon, che ha introdotto regole fiscali che agevolano i produttori che trovano i soldi sul mercato destinando i finanziamenti diretti ai debuttanti. Forse a causa dell’imperversare dei tagli, nelle scorse settimane, pur dopo i positivi risultati della produzione nazionale nell’annata 2009-2010, da attori e registi anche affermati (per tutti Margherita Buy) è stato lanciato l’allarme: il settore è totalmente bloccato, non si avvia nessuna nuova produzione.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

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