Io, nomade

Attualità e Società Editoriale
fontanellato

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Nomade potrei definirmi nomade, almeno nelle tradizioni. Nato a Parma, qui non ho amici, o meglio non ho una compagnia…ho frequentato l’ancora istituto d’arte Paolo Toschi, per molti amici spiegazione del mio essere a volte smodatamente “scentrato”.

In questa scuola si impara il rispetto e il valore dell’amicizia, senza l’ausilio del nonnismo impari che chi è più grande merita più rispetto, gli insegnanti sono tuoi amici, forse quelli più cari, punto di riferimento.

Ognuno di loro alla sua maniera ti insegna qualcosa, c’è un che di mistico al Toschi, si ha l’impressione vivendoci di essere in un piccolo paese di provincia dove volenti o nolenti ci si conosce tutti, è una grande tribù dagli studenti ai professori ai bidelli fino su agli alti livelli della presidenza.

700 di media scalmanati all’anno rinchiusi in un edificio di 5 piani del settecento, ad ogni cambio dell’ora ci si sposta e da un’aula all’altra ci si scontra per i corridoi e a spallate ci si saluta…mi riordo che gli orari non li faceva un tecnico ma un computer, questo forse perchè la responsabilità era alta! Perchè? Un giorno a caso, il lunedì: prima lezione all’aula 40 (5° PIANO) seconda lezione aula 12 (PIANO TERRA) terza lezione ginnastica, 2km a piedi per raggiungere una merda di palestra in città, ultima lezione religione aula 24 (QUALE CAZZO E’ L’AULA 24?!?).

Ci voleva una planimetria, gli orari fortunatamente erano esposti fuori, perchè tenerli a mente era quasi impossibile, oppure si imparavano alla fine del semestre e poi te li cambiavano…ma…io la domenica sera andavo a letto presto perchè la mattina…SI ANDAVA A SCUOLA!!! Ora tra di voi che state leggendo in quanti potrebbero dire la stessa cosa, voi del Classico, dello Scientifico, di ragioneria, di segretaria!!!

La classe, ah la classe…18 alunni, 3 ragazzi e 15 ragazze, una più topa dell’altra, ho meglio quando a 16 anni pratichi il fai-da-te e combatti ogni mattina con i brufoli come un soldato americano nel vietnam, ogni coppia di capezzoli che vedi è un miraggio, se poi questi guardano i tuoi ti senti come Fonzie da Arnold.

Il problema è che al Toschi o hai la fortuna di essere un gran figo, e te ne accorgi perchè il tuo nome è scritto ovunque, e quando dico ovunque è ovunque! oppure il fai-da-te lo porti avanti per un bel po…
perchè la sfiga qui è che i ragazzi sono in minoranza quindi le ragazze fanno comunella e a 14 anni si sentono delle donne, e loro con te non ci vengono neanche…però se non altro non ti prendono per il culo, magari con i loro discorsi da animali del sesso ti fanno arrivare a casa con le palle infuocate ma tu per loro sei più che un compagno e come in mezzo ad una tribù non ti sembra che le quattro ore di matematica siano gia passate.

Qui puoi trovare ogni tipo di personaggio, dal fighettino allo sfattone, nomi famosi hanno segnato il mio soggiorno quinquennale al toschi, da Morrison (l”uomo” con le caviglie più magre al mondo) a Jugin (o come cazzo si scrive) la tartaruga ninja della breakdance che con il suo cappotto nero di pelle gli stivali e lo sguardo cattivo non faceva paura a nessuno! Poi c’era Portioli, per me un idolo del creato, ho qualche flash di lui, mi ricordo che aveva gli anfibi slacciati con la linguetta risvolta in avanti, il rumore del passo è indimenticabile…jeans stretti ma strappati capelli rossi basette credo, ma la cosa più importante rappresentante d’istituto e come campagna elettorale dell’anno in cui sono entrato io ha piantato su un casino con i fiocchi progettando un’occupazione forzata di quasi due mesi utili, non contando le vacanze di natale…come non votarlo quel ragazzo d’oro?

Io e l’uomo ombra, se ascoltate il podcast al martedi sera sapete chi è! (se non lo ascoltate siete sicuramente dei ragionieri) ci piaceva andare a scuola anche quando gli altri restavano a casa a protestare per l’assenza della carta igienica, non perchè eravamo due crumiri, ma semplicemente perchè ad entrambi ci piaceva cagare solamente a casa nostra e sapete tutti che per fare la pipi bastano due o tre scrollate.
Credo siano state le giornate più belle, gli insegnanti erano costretti a venire, nel bagno professori la carta igienica non mancava mai, ma non potevano farci lezione, quindi è stato un modo per conoscerli, come ad esempio il prof di plastica (non prendetelo in giro, se lo conosceste non lo fareste credetemi) Plastica era una disciplina, modellazione della creta.

Con lui abbiamo visto arancia meccanica, the cube e ascoltato i racconti di quando faceva il pugile, e di dado e brodo i suoi figli. Pur sforzandomi non ricordo niente di negativo in questa scuola, i compagni purtroppo erano la maggior parte di fuori, chi da Piacenza, chi da Suzzara, chi da Mantova chi da Reggio chi da Cremona, quindi i legami si fermavano al suono della campanella…ma a me andava bene cosi.

La mia  compagnia non era in città ma era in montagna, nella nostra cara vallata. Come un nomade finita la settimana corta si partiva per il week end alla volta di Bedonia o di Granere a seconda che ci fosse la neve o le pietre rotte dal sole. Sapete quando si dice che non vedi l’ora che arrivi il sabato e poi piangi perchè hai paura che la domenica finisca? ecco, io non vedevo l’ora di andare in montagna, e allo stesso tempo di andare a scuola.

Anche adesso che sono in università le cose non sono cambiate di tanto, i compagni sono sempre per la maggior parte immigrati da altre regioni, e se non sei come l’oro in un altra città è difficile mantenere i loro ritmi, loro non hanno la mamma a casa che li aspetta e allora te ne stai a casa tranquillo, i tuoi amici, pc e cb ti tengono compagnia, qualche volta vai a bere una birra con qualche scantonato che per qualche motivo non ci ha un cazzo da fare neanche lui, e aspetti il sabato per poter scappare e raggiungere la morosa in montagna, tra i tuoi veri amici, e ti rendi conto che la tua casa la tua famiglia e li e non in città.

Le cose più importanti, le festività, le serate scarne tra le desertiche strade di paese sono quelle che ti mancano di più quando arrivi a metà settimana attaccato al tuo vecchio pc lamentone, che a fatica ti carica un video su Youtube, anche lui non vede l’ora che arrivi il sabato, cosi che io mi levi dalle balle, e che come si dice può finalmente per qualche giorno staccare la spina!
Mi dicono quando vogliono farmi incazzare che sono un bardigiano, o ancora peggio un parmigiano, ma la verità è che non sono neanche un bedoniese, ma un pò di tutte e tre.
E’ una strana sensazione sentirsi e non sentirsi a casa da nessuna parte, ma ha il vantaggio che ti senti a casa un po’ dappertutto! Non conosco le tradizioni parmigiane, non ho mai passato un natale in città, un ultimo dell’anno in piazza, non sono mai andato a ballare o in centro di sera (se non obbligato) le poche volte era per andare dalle mie cuginette…ma qualche ricordo lo ho della città come emozioni e tradizioni, in famiglia noi tre siamo stati anni fa un po parmigiani anche noi, mi ricordo quando facevo ciclismo, la domenica partivamo con un furgone FIAT del ’70 a 9 posti, ognuno si caricava la sua bicicletta sul tetto, e alle 5 eravamo in viaggio, la maggior parte delle volte non sapevamo neanche per dove, quindi ci si fermava in un bar,e Paolo l’allenatore prendeva la Gazzetta e cercava negli eventi una gara ciclistica adatta, la cerchiava col pennarello, strappava la pagina e armato di cartina tracciava il percorso. I viaggi in teoria non erano mai lunghi, se misurati in km, ma se misurati in ore, erano sempre un’avventura. Eravamo una leggenda, i primi a partire e gli ultimi ad arrivare.

Un lungo corteo di genitori con le loro automobili seguivano uno scalcinato furgone bianco e rosso per la bassa reggiana, investiti continuamente da dejavu e domande;
Ma caro, di qui non ci siamo gia passati?…e cosi sfiancati dalla strada, dal caldo, e dalle sospensioni si arrivava sul luogo della gara.
Scesi dal pulmino, Paolo correva a fare l’iscrizione dei suoi ragazzi e noi poco dopo in fila indiana, vogliosi di pedalare come se dovessimo andare in guerra, andavamo a prenderci il nostro numero, e come le scimmie lo attaccavamo sulla maglietta del nostro compagno davanti a noi…qualcuno correva sempre con il numero al contrario.
I ricordi più brutti della gara erano tre, la prova rapporti (il doping dei giovani era avere qualche dente in più nella corona), il prurito in arrestabile dei tuoi attributi costretti senza  mutanda in un luogo angusto e senz’aria e…la partenza: un ansia da prestazione mi correva lungo la schiena, il panico dello striscione rosso non lo scorderò mai, ma una volta partito anche se tranquillo e beato concludevo ogni mia gara, e  mi divertivo a restare ultimo in fondo al gruppo, e a rallentare progressivamente per vedere gli equilibristi gasati della domenica ciclistica (chiudi pista) con le loro abnormi moto, non potendomi sorpassare tentavano ti tenere in piedi una moto da 2 quintali ad una velocità di punta di 15 km orari!

Il divertimento puro arrivava alla fine, quando si rimontavano le bici sul pulmino e si andava a mangiare il panino offerto dall’organizzazione, mentre gli allenatori delle altre squadre cazziavano i loro ragazzi e salivano sulle loro ammiraglie fiammanti e sponsorizzate, noi giocavamo a CALCIO! nei prati!!!
Il pomeriggio sfumava in grandi grigliate improvvisate nella campagna circostante tirando la sera…

Come dimenticarsi la quarta domenica del mese, il mercatino di Fontanellato, quando con i miei andavamo per le vie del paese con in mano un sacchetto di torta fritta a curiosare nelle cianfrusaglie disordinatamente esposte. I banchi favoriti erano sicuramente quelli delle monetine, dei francobolli e dei fumetti, ma in generale era sempre affascinante vedere la gente interessarsi a cose inutili che altra gente vendeva, cose che avevano lo stesso identico destino, quello di tornare un giorno o l’altro su un altro banco in fiera di paese.

Oggi sono qui a Fontanellato, sotto l’arco di ingresso al paese vecchio, e un po di malinconia mi pervade nel ricordare l’infanzia quando nomade non mi sentivo, e l’emozione che provavo nell’affrontare queste giornate. Oggi è il primo maggio, ho 24 anni, ho una videocamera in mano e riprendo questo mercatino, vedo nel mirino mille coppie e famiglie passarmi davanti, intente forse in economia di passare la festa del lavoratore. Chi si prende un gelato, chi beve alla fontana, chi guarda l’acqua de fossato, un cane che abbaia, un bambino sta guardando un banco di cianfrusaglie, i suoi occhi si illuminano, zummo l’immagine, sono io…oggi mi sento meno nomade.

Scritto da Simone Bettosi

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