Mi sveglio. Lascio mia moglie nel letto, il tempo è grigio e piovigginoso. Penso che debbo sbrigarmi, altrimenti faccio tardi in ufficio. Esco dal bagno. Mi infilo frettolosamente camicia e pantaloni, indosso la giacca ed esco. Poi scosso da un brivido di freddo, mi abbottono per bene il cappotto. Novembre comincia a farsi sentire. Guardo l’orologio e realizzo che faccio ancora in tempo per un cappuccino prima di prendere l’autobus. Al bar sfoglio un giornale della free pass. In prima pagina la foto di Saddam Hussein, condannato a morte.
Mi sembra di scorgere sul suo volto lacrime brevi, purificatrici, che sanno d’odio. Occhi di velluto blu. Ciglia lunghe e folte. Ridicolo.
Certamente sbaglio, come fa un uomo così a piangere?
Un uomo pericoloso.
Un uomo disperato.
Un uomo capace di forti sentimenti.
Di grande lealtà solo verso i suoi uomini.
Un uomo amareggiato, distrutto dalle circostanze.
Guardo da un’altra parte, imbarazzato.
Per farla corta, una splendida canaglia piena di carisma.
Per tutto il viaggio rimugino su questo fatto.
Arrivo in ufficio.
Penso: sicuramente nel 2006 una società civile non può accettare la pena di morte, come se fossimo ancora in pieno medioevo.
Anche se si tratta di un assassino.
Come Saddam Hussein.
Precisamente torno a casa.
Prima di cena mi concedo un gin and tonic, in poltrona.
Notevole.
Ho una gran fame questa sera.
Divoro i tonnarelli mare e monti di mia moglie.
Mi spiace tanto per chi avrà sulla coscienza l’omicidio di Saddam.
Io non c’entro niente.
Come ha detta una volta in televisione Pippo Baudo: “Mi dissocio!”
Beh, non ho molto altro da dire.
Tutto qui.
Scritto da Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)
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